Pane o gallette: che cosa è meglio mangiare?

Pane o gallette: che cosa è meglio mangiare?

Negli ultimi anni ho affrontato tanti cambiamenti nel modo di alimentarmi e devo dire che mi sento molto meglio da quando ho ridotto notevolmente i cereali, soprattutto quelli raffinati, che non compro più, e con glutine.

 

Anche se non li ho eliminati del tutto li ho in buona parte sostituiti con altri carboidrati che hanno meno inconvenienti. Senza entrare nel merito dei vantaggi e degli svantaggi del consumo dei cereali (ne ho già parlato nel libro Alimentazione naturale e consapevole), vorrei invece condividere qualche riflessione su un alimento che, almeno in Italia, è stato per tanto tempo alla base della tradizione contadina: il pane.

 

Per alcune persone rinunciare al pane non genera alcun problema. Per me non è stato così, forse perché nella mia famiglia di origine se ne è sempre mangiato molto.

 

Per sostituirlo ho iniziato a fare vari esperimenti, cotti e non cotti, utilizzando non solo farine di cereali diversi dal grano ma anche di semi, legumi, tuberi, radici e verdure. I risultati sono variabili, a volte ben riusciti altre volte accettabili. Tuttavia, questo richiede un po’ di tempo e di organizzazione, quindi, quando sono di fretta mi capita anche di acquistare prodotti confezionati. Ho assaggiato vari tipi di cracker, gallette e prodotti simili, scegliendo le varietà che mi sembrano più “sane”. Nonostante io abbia i miei preferiti, nessuno mi soddisfa pienamente. Inoltre, ogni volta che me li trovo davanti mi chiedo quanto sia salutare mangiare questi prodotti, soprattutto se diventa un’abitudine quotidiana.

 

Prendiamo ad esempio le gallette di riso, di mais o di altri cereali. Si tratta di chicchi di cereali sottoposti ad altissime temperature e pressioni, che denaturano completamente i nutrienti presenti prima della lavorazione. Nonostante sembrino innocui per la loro leggerezza, hanno un alto indice glicemico e un elevato indice insulinemico e a volte contengono una significativa quantità di grassi. Raramente si tratta di grassi che rimangono stabili ad alta temperatura, cosa che rappresenta un problema dal momento che questi prodotti vengono cotti. Anche il contenuto di sale (in genere si tratta di comune sale da cucina raffinato) non è trascurabile. Proprio per la loro leggerezza si tende a mangiarne in una certa quantità perché si ha l’impressione che contino poco nel pasto generale, grazie anche a pubblicità ingannevoli che li propongono come alimenti del tutto innocenti e nutrizionalmente validi. Non è così.

 

Alcune gallette poi hanno una consistenza gommosa assai spiacevole (migliorano se passate velocemente in padella o nel tostapane), anche se è una questione di gusto del tutto personale. Un’altra importante considerazione riguarda il prezzo, talvolta spropositato se si considera che in fondo si tratta di cereali, acqua e sale! Ammettiamo pure (ma purtroppo non è sempre così!) che alla base vengano usati cereali e pseudo-cereali coltivati nel pieno rispetto della terra e degli ecosistemi, però a volte rimane un’esagerazione. Un discorso analogo si potrebbe fare per fette biscottate, cracker e simili.

 

Tutto sommato – mi chiedo – una fetta di pane fatto in casa, a lievitazione lunga e naturale, non sarà meglio, sia dal punto di vista salutistico che organolettico?

 

Fino a qualche anno fa, quando occasionalmente lo preparavo utilizzavo il lievito di pasta madre secco (o il cremor tartaro). Poi è arrivata una presenza inaspettata: la pasta madre fresca. In passato ho avuto un rapporto conflittuale con lei perché ho provato più volte a farla partendo dal principio ed è sempre finita male, per un motivo o per un altro. La “creatura” oggi ha un nome e vive nel mio frigorifero (se non la congelo).

 

Panificare necessita tempo, dedizione, pazienza e un po’ di organizzazione, tenendo in considerazione che il rinfresco dovrà iniziare il giorno precedente quello in cui si vuole sfornare il pane, ma basta farci l’abitudine. In compenso, la soddisfazione di mangiare un prodotto preparato con le proprie mani e di sentire il profumo che si spande per tutta la casa durante la cottura (si può scegliere una temperatura relativamente bassa) ripaga ampiamente il lavoro e l’attesa. Il risultato è decisamente migliore del classico pane, bianco o integrale, che si trova in commercio e, soprattutto, dà una grande soddisfazione sfornare qualcosa di nuovo, sempre diverso.

 

Se ne può produrre una certa quantità e congelarlo a fette, o, ancora meglio, lasciarlo seccare all’aria aperta, trasformandolo in un ottimo nutrimento per il microbiota del colon. Le fette di pane vecchio si possono conservare a lungo e poi, al bisogno, inumidire e scaldare leggermente affinché riacquistino la croccantezza desiderata.

 

Con la pasta del rinfresco si possono preparare dei fragranti simil-cracker molto personalizzati, come ho accennato sopra.

 

Ci sono anche periodi in cui non ho proprio voglia di occuparmi del mio lievito madre e lo congelo. Non so se sia opportuno farlo, i puristi forse non sono d’accordo. Quando lo estraggo dal congelatore è un po’ indebolito ma dopo qualche rinfresco riprende a fare il suo lavoro egregiamente.

 

Non ho consigli da dare in materia di panificazione perché ho ancora tutto da imparare io stessa, a parte un paio.

 

Il primo riguarda la scelta delle materie prime, che devono essere rigorosamente di ottima qualità, come lo dovrebbe essere qualsiasi altra cosa commestibile che mettiamo in dispensa. Quindi:

 

  • farine di cereali antichi con poco o senza glutine, macinate a pietra; ancora meglio se le prepari tu partendo dai chicchi interi, ovviamente biologici o non trattati;
  • acqua pura;
  • sale integrale.

 

Il secondo suggerimento è relativo alle ore di lievitazione, meglio se sono tante (io lascio lievitare l’impasto almeno 24 ore).

 

Quando impasto adoro vedere la palla che si trasforma sotto i miei occhi, perché è viva, così come mi emoziona vedere germogliare tutti i tipi di semi e qualsiasi altra cosa che cambia sotto l’impulso di processi biologici che sono alla base della vita. Inoltre, mentre si lavora l’impasto con le mani, si trasmette al futuro pane un ingrediente che tra tutti è forse il più importante: la propria energia, quella che arriverà alle persone per le quali cuciniamo.

 

Se ne parla poco, o non se ne parla affatto, perché è una variabile non quantificabile, ma è anche questo elemento a fare la differenza tra un alimento preparato da noi e uno industriale, che esce da una macchina e resta su uno scaffale per giorni, settimane o mesi. Ritrovare il gusto e il piacere di autoprodurre il cibo significa anche riportare vitalità sulla nostra tavola, perché l’energia degli ingredienti, di chi li produce e di chi li avrà tra le mani ce la ritroviamo nel piatto.

 

Detto tutto questo, sulla diatriba “pane sì, pane no, quale pane, meglio le gallette o meglio niente” io credo, come per ogni altro alimento, che sia una questione di qualità, quantità ed equilibrio con tutto il resto della propria dieta. Penso anche che l’aspetto fondamentale e imprescindibile da cui partire sia l’osservazione di se stessi, di come reagisce il proprio corpo quando riceve un determinato cibo, e non mi riferisco solo alle reazioni fisiche.

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