Perché si ha paura dei microrganismi?
In questi giorni in cui si parla molto di virus e contagio, non posso fare a meno di pensare da dove ha avuto origine la paura dei microrganismi, dimenticando che solo una minima parte rappresenta per noi un potenziale pericolo, che si riduce ulteriormente se essi non trovano le condizioni adatte per proliferare.
Tutto ebbe origine con Louis Pasteur (1822-1895), che fece un’inversione tra la causa e gli effetti della malattia, arrivando a teorizzare che quest’ultima fosse il risultato dell’aggressione di terribili germi patogeni che aggredivano l’organismo dall’esterno. Questo ha portato, da un lato, a volere sterilizzare tutto quello che ci circonda e il nostro corpo, che ci ostiniamo a disinfettare fuori senza pensare che al suo interno, in diversi distretti, e anche sulla pelle, vivono miliardi di preziosi microrganismi che fanno parte del nostro sistema di difesa; dall’altro lato, ha instillato nell’uomo l’idea di essere fragile e indifeso di fronte ad un male che viene dall’esterno e pertanto incontrollabile, un male da estirpare.
In realtà viviamo immersi in un mondo di microrganismi, dentro e fuori di noi e non potremmo esistere senza di loro poiché svolgono funzioni importantissime ed essenziali per la nostra sopravvivenza. Ora che non si fa altro che discutere del nuovo Coronavirus che si aggira tra noi, Sars-CoV-2, la paura di essere infettati da tale microrganismo è particolarmente forte e ci fa sentire inermi di fronte a questa struttura invisibile persino al microscopio ottico, che non ha nemmeno vita propria, poiché i virus riescono a sopravvivere solo se infettano una cellula, in questo caso una cellula umana.
Eppure l’oppositore di Pasteur, Antoine Béchamp (1816-1908), sosteneva che “il terreno è tutto, il microrganismo non è niente”, un concetto poi abbracciato da Claude Bernard, uno dei fondatori della naturopatia in Francia, e da tutte le “medicine del terreno”, le quali adottano un approccio alla malattia e all’infezione fondamentalmente diverso da quello dell’allopatia, che si occupa essenzialmente dei sintomi senza risalire all’origine del problema. Per comprendere meglio questa frase dobbiamo fare un breve viaggio all’interno del nostro apparato digerente, in particolare nell’intestino e tra i suoi abitanti.
Il nostro apparato digerente, soprattutto l’intestino, è colonizzato da miliardi di microrganismi che, nel loro insieme, costituiscono il microbiota (un tempo chiamato flora batterica).
Nell’intestino umano albergano più di 500 specie batteriche, sia anaerobiche che aerobiche, concentrate prevalentemente nel colon (intestino crasso). Oltre alla flora batterica sono presenti virus, lieviti e funghi, che in condizioni di equilibrio non esercitano alcun effetto patogeno. Rappresentano la preziosa flora residente. Nell’insieme questi microrganismi pesano circa 1,2 kg (più o meno tanto quanto il nostro cervello) e formano un sopra-organismo che vive in simbiosi (dal greco: vita insieme) con l’uomo, cioè in un rapporto di convivenza dal quale entrambi traggono un proprio beneficio. L’uomo fornisce materiale per il sostentamento dei batteri. In cambio, i microrganismi simbionti svolgono varie funzioni utili all’uomo. Quando la flora batterica e l’organismo vivono in perfetta armonia, si parla di eubiosi (vita buona). Se c’è disequilibrio siamo invece in presenza di una condizione di disbiosi (vita cattiva).
Esistono diverse forme di disbiosi dovute a:
- Presenza di batteri “non buoni”.
- Alterazioni nella concentrazione (alcune specie in sovrannumero a discapito di altre).
- I microrganismi non sono nel posto in cui dovrebbero stare (è il caso della SIBO, dovuta all’eccessiva presenza di batteri nell’intestino tenue).
Mantenere uno stato di eubiosi è essenziale per bloccare sul nascere un microrganismo opportunista che cerca di installarsi nell’organismo, perché così non troverà né spazio né cibo per proliferare. Al contrario, in un intestino in disbiosi un potenziale patogeno approfitterà della situazione di anarchia per volgerla a suo favore. Una volta trovata la sua nicchia, inizierà a riprodursi e a produrre metaboliti che potranno anche oltrepassare la mucosa e andare in circolo, nel probabile caso che la mucosa abbia aumentato la sua permeabilità (probabile perché è il disequilibrio stesso che, in maniera diretta e indiretta, crea continue aggressioni alla mucosa, che finirà per allentare le sue maglie e diventare una sorta di “colabrodo”). Questo metterà in allerta il sistema immunitario e aprirà le porte all’infiammazione, dapprima localizzata a livello intestinale e in seguito, se la situazione dovesse persistere, potrebbe estendersi a tutto l’organismo. Ovviamente ci sono anche altre porte d’ingresso alle infezioni di microrganismi esterni, ma questa è una delle principali.
Un altro aspetto importante da considerare è che, oltre al microbiota intestinale, ne abbiamo altri, disseminati in vari distretti del corpo: nei polmoni, nei genitali, sulla pelle, nel cavo orale, nel naso e tutti sono in comunicazione tra loro, scambiandosi continuamente informazioni, metaboliti e microrganismi in una sorta di comunicazione multidirezionale. Ecco perché l’equilibrio dell’uno influenza quello degli altri, agendo sull’uno si agisce indirettamente su tutti gli altri.
Come tenere in equilibrio il microbiota intestinale?
Alimentazione fisiologica
Dovrà essere personalizzata ma in generale ricca di verdure, grassi buoni, una giusta quantità di proteine animali e/o vegetali. A questa base si possono aggiungere alcuni cereali o pseudo-cereali in una quantità adeguata al fabbisogno della persona e alle sue condizioni di salute.
Varietà alimentare
È necessaria per mantenere la biodiversità cioè per tenere alto il numero delle specie batteriche. Il dott. Alessandro Scuotto, gastroenterologo, ha affermato in un recente congresso che “qualunque monotonia alimentare arreca danno, poiché impoverisce il numero delle diverse specie che devono o dovrebbero albergare nell’intestino”.
Prebiotici
I prebiotici sono tutto ciò che è cibo per il microbiota. Finché i batteri buoni sono ben nutriti c’è equilibrio, se non è così gli opportunisti prenderanno il campo. Un eccesso di zuccheri, per esempio, favorisce la crescita di lieviti (tra cui la Candida, che è spesso presente nella flora residente ma nelle giuste proporzioni non è dannosa, anzi è addirittura benefica). Che cosa piace ai batteri buoni? Sono ghiotti di fibre solubili indigeribili. Indigeribili per noi ma digeribili per i batteri. Sono anche chiamate MAC in gergo scientifico, acronimo che sta per Microbiota Accessible Carbohydrates. I batteri le fermentano per produrre acidi grassi a catena corta, tra cui il preziosissimo acido butirrico, un vero toccasana per la salute dell’intestino. È lo stesso del burro ma i batteri ne producono molto di più di quello introdotto con la dieta.
Il butirrato è importante per diverse ragioni:
- Stimola la produzione di mucina che preserva lo strato mucoso.
- Ha una funzione trofica per gli enterociti, le cellule dell’epitelio intestinale.
- Indirettamente preserva l’integrità delle giunzioni serrate (le maglie della mucosa intestinale) e svolge un’azione detossificante.
- Esercita un effetto antimicrobico.
- Contribuisce a mantenere il corretto pH nell’intestino.
- Influenza la funzionalità di un fattore espresso nel cervello, chiamato BDNF, importante per la memoria a lungo termine.
Cosa succede se non introduciamo abbastanza MAC? I batteri, se non ricevono il loro cibo preferito, si accontentano di quello che trovano e iniziano a mangiare il muco. In gergo tecnico si parla proprio di “foraggiamento del muco”. Potrebbe sembrare una cosa positiva, pensando che sia un’opportuna opera di pulizia, ma non è così. Il muco, infatti, se presente nella giusta quantità, svolge un’azione protettiva per la mucosa intestinale. Se scarseggia, la mucosa è più soggetta ad attacchi aggressivi, si assottiglia e può formare dei “buchi” che lasciano entrare in circolo molecole indesiderate, dando avvio al processo infiammatorio accennato sopra.
Dove si trovano i MAC? Ne sono ricchi le verdure, i semi mucillaginosi, i cibi fermentati, alimenti ricchi di amido-resistente (ovvero una forma di amido che noi non possiamo digerire, arriva intatto nel colon dove nutre i batteri buoni). Anche i cereali integrali contengono fibre, ma è meglio non abusarne per altre ragioni e soprattutto andrebbero cucinati adottando alcuni trattamenti preliminari (ammollo, risciacquo e, se si desidera aumentare la concentrazione di amido-resistente, cottura e successivo raffreddamento per almeno 12 ore).
Cura di probiotici
Si tratta di batteri e lieviti buoni che si reintroducono nell’intestino perché sono venuti a mancare. Devono essere scelti con cura e in funzione di ogni persona.
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