È meglio curare la persona o gli esami?

È meglio curare la persona o gli esami?

È meglio curare la persona o gli esami? La risposta a questa domanda sembra ovvia ma a ben guardare non lo è così tanto. Vediamo per quale ragione.

 

Mi è capitato in diverse occasioni di incontrare persone che chiedono se esiste un prodotto naturale per abbassare il colesterolo o la pressione o per risolvere il diabete o cose simili: si sono stancate di assumere farmaci e vogliono passare a qualcosa che abbia meno effetti collaterali.

 

Sono domande che fanno molto riflettere perché mostrano quanto sia sbagliato il nostro modo di porci nei confronti della salute e quanto ancora sia presente e radicato l’approccio meccanicistico e riduzionista iniziato alcuni secoli fa, un approccio che ha permeato ogni ambito del sapere, incluse la biologia e la medicina.

 

Consideriamo per esempio il colesterolo. Avere il colesterolo alto non è di per sé una malattia ma un parametro che dà un’informazione su un eventuale rischio di sviluppare una condizione patologica. La vera domanda è: che cosa mi sta dicendo quel valore sul mio organismo? Perché il colesterolo si è alzato? Che cosa lo ha fatto alzare?

 

Se a una persona che mi chiedesse come abbassare quel valore con un prodotto naturale rispondessi: “Ok, prendi questa pianta o quest’altra sostanza naturale e i tuoi valori di colesterolo ematico (perché è quello che dà fastidio, con le dovute distinzioni tra le diverse frazioni) ritorneranno “normali”. Però, se non farai niente altro sarai meno protetto da malattie a carico del sistema cardiovascolare e non solo. Se l’organismo ha ritenuto necessario alzare la produzione di colesterolo è perché molto probabilmente è in atto un processo infiammatorio dal quale deve proteggersi. Il colesterolo è quindi indice, ovvero conseguenza e non causa, di uno stato infiammatorio. Abbassarlo forzatamente equivale a confondere il piromane con il pompiere che cerca di salvarti dall’incendio”.

 

Quella persona sarebbe ancora contenta di assumere la suddetta pianta e di vedere i suoi esami rientrare perfettamente nella norma? Forse no, perché si renderebbe immediatamente conto che avrebbe in tal modo sistemato i valori di alcuni parametri ma non il problema alla radice.

 

È proprio questo uno dei limiti della medicina moderna, confonde il bersaglio, ricorrendo spesso ad espedienti che curano gli esami ma non la persona nella sua interezza.

 

Ho fatto l’esempio del colesterolo ma si potrebbero fare riflessioni analoghe per qualsiasi altro parametro: glicemia, pressione arteriosa, trigliceridi, eccetera.

 

Questo significa che è inutile monitorare le proprie condizioni di salute facendo esami? Assolutamente no! Si possono e si devono fare ma senza dimenticare che si stanno misurando dei parametri per fare una fotografia dello stato dell’organismo in un preciso istante, sono cioè un invito a riflettere sulle cause vere di un’eventuale alterazione di certi valori rispetto a quelli ritenuti nella norma (senza dimenticare che per alcuni di essi i valori di riferimento considerati “normali” sono cambiati ampiamente nell’arco di tempi anche brevi e questo è un altro dato che dovrebbe fare riflettere).

 

Da alcuni secoli ad oggi si sono invertite le cause con gli effetti delle “malattie”. Ci si occupa dei sintomi, pensando che siano le malattie, e non del terreno, dove risiedono le origini vere del disagio. In realtà, i sintomi non sono altro che un tentativo del corpo per ripristinare un equilibrio che è venuto a mancare. È lì che sta la chiave del problema.

 

È lo stesso atteggiamento che molte persone hanno nei confronti dell’alimentazione, ricercando non l’equilibrio complessivo ma il prodotto miracoloso che le faccia sentire meglio o perdere in un attimo i chili di troppo.

 

Tanti s’interrogano oggi sulle proprietà dei singoli alimenti, sull’azione protettiva che hanno verso certe malattie, sull’apporto di sostanze e principi attivi considerati più o meno preziosi. È il riflesso del processo analitico della scienza moderna, inclusa la scienza della nutrizione, a studiare il dettaglio, il particolare separato dal tutto. Da un certo punto di vista è un’attitudine che ha dei risvolti positivi, perché mostra una crescente attenzione, accompagnata spesso da un maggiore senso di responsabilità, nei confronti di un aspetto della nostra vita – il cibo che mangiamo – che influenza in modo sostanziale il nostro benessere e l’espressione del genoma a livello epigenetico. D’altra parte però, è importante fare attenzione a non perdere di vista l’insieme al quale quei particolari appartengono, che si tratti dello stile alimentare o dello stato globale di salute di una persona.

 

Un alimento è visto come la somma dei macro e micronutrienti che apporta, è valorizzato in funzione del o dei principi attivi che hanno dimostrato un’azione protettiva nei confronti di una certa malattia e che magari viene isolato per arricchire altri alimenti, dando loro una parvenza di bontà, nel senso di essere percepiti dal consumatore come alimenti più “sani”, cosa che spesso non è. Un biscotto arricchito di vitamina C resta un biscotto. Che abbia la vitamina C (o qualsiasi altra sostanza virtuosa), peraltro cotta e quindi denaturata, è irrilevante e non rende quel biscotto migliore dal punto di vista nutrizionale. Resta un alimento ricco di carboidrati e calorie vuote, quindi da evitare o da consumare occasionalmente. Però chi lo compra pensa di avere fatto una scelta salutare.

 

La cosa essenziale, più importante ancora della composizione biochimica, è come un dato alimento s’inserisce nella dieta complessiva di una persona, come si relaziona con tutti gli altri alimenti che ne fanno parte e soprattutto come viene gestito dall’organismo che lo riceve. Perché le molecole che entrano nel corpo non rimangono isolate, non lavorano da sole ma in sinergia con tutte le altre sostanze che s’introducono e vengono a trovarsi in un determinato terreno, che varia inevitabilmente da persona a persona.

 

Un mio professore era solito ripetere: “L’alimento non ha valore in sé ma in funzione dell’apparato digerente che lo riceverà.”

 

Naturalmente si riferiva al cibo vero, il più possibile naturale, cioè vicino a come la natura lo ha creato, e non agli alimenti artificiali, manipolati e trasformati dall’industria agroalimentare, che non si dovrebbero nemmeno considerare alimenti.

 

È un’ottima cosa conoscere i dettagli e sviscerare le parti che compongono il tutto, ha portato preziose informazioni e ha permesso di compiere grandi passi in avanti in ambito scientifico. Tuttavia, non si deve dimenticare che la conoscenza delle proprietà dei singoli componenti isolati acquisisce un senso solo se la si mette in relazione con la visione d’insieme, con il comportamento di quella parte quando si trova nel tutto.

 

Questo vale per la nutrizione e per la salute in generale: la parte ha valore in funzione del tutto, non in quanto tale.

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