Dalla cura della malattia all’educazione alla salute

Dalla cura della malattia all’educazione alla salute

Torno su un argomento che mi sta molto a cuore anche se in parte ne ho già parlato diverse volte, quello della cura del terreno rispetto alla cura del sintomo. In questi giorni ho letto una bella newsletter di un collega francese che mi ha fatto sorgere qualche riflessione in più.

 

In Italia, come un po’ ovunque nel mondo occidentale, abbiamo un sistema sanitario basato sulla repressione cieca dei sintomi o di ciò che all’apparenza può creare i sintomi, nel caso particolare che stiamo vivendo, il virus. Purtroppo non siamo in un sistema di prevenzione, di comprensione globale dell’essere umano e della biologia degli esseri viventi.

 

Quello che sta accadendo con la situazione che ha ormai paralizzato la nostra società è emblematico. Si pensa esclusivamente a bloccare il virus senza cercare di comprendere le cause reali che fanno sì che in certi casi l’infezione risulti, direttamente o indirettamente, anche mortale. In certi casi, appunto, non sempre.

 

Perché il virus non provoca gli stessi sintomi a tutti?

Perché alcuni hanno una reazione infiammatoria forte e altri no?

Perché ci sono soggetti asintomatici?

Perché i bambini non sono colpiti?

Che cosa permetterebbe alle persone più fragili di resistere meglio alla risposta infiammatoria?

 

Iniziare a rispondere con onestà a queste domande contribuirebbe a modificare l’approccio alla malattia oggi prevalente. Un atteggiamento che forse potrà evitarci di rivivere un’esperienza simile a quella presente deve passare, a mio avviso, attraverso un autentico cambio di paradigma dell’attuale visione della malattia e della salute. Se non lo faremo, è probabile che sempre più spesso assisteremo al congelamento della società come sta avvenendo. Non è una soluzione, come non lo è il vaccino.

 

Oggi sappiamo che le persone più a rischio sono quelle con un terreno infiammato, in genere accompagnato da una o più patologie. Tuttavia, ci sono stati anche, e probabilmente ci sono ancora, giovani adulti apparentemente sani che si sono ammalati e alcuni di loro sono morti. Ho scritto apparentemente perché sì, forse è vero che non manifestavano sintomi evidenti di qualche malattia, ma è pur vero che non avere sintomi non significa necessariamente essere in salute. Quanti di noi, giovani e meno giovani, possono affermare con certezza di essere perfettamente sani e di avere un organismo che funziona al 100%? Di avere un intestino in perfetta eubiosi, di non avere carenze di micronutrienti, talvolta anche di macronutrienti, di essere in pieno equilibrio fisico e psico-emotivo?

 

Il punto al quale vorrei arrivare è che, per far fronte a questa o a qualsiasi altra infezione o malattia, non ci si può accontentare di stimolare solo il sistema immunitario. Sicuramente questo è importante ed essenziale, perché avere delle buone difese è indispensabile per bloccare rapidamente la replicazione virale o di un altro potenziale patogeno. Oggi si parla tanto, a ragione, di come potenziare le proprie difese e questo ha spinto molte persone a gettarsi sugli integratori immunostimolanti, tanto che in molti siti di vendita online sono esauriti.

 

Tuttavia, puntando tutto su questo unico aspetto senza che sia inserito in un contesto più ampio, si continua ad alimentare la credenza che considera il virus come il nemico da combattere, in questo caso con mezzi naturali anziché farmacologici. In realtà, in parallelo è necessario ridurre l’infiammazione e aumentare la vitalità, cioè agire sul terreno con un approccio globale, preventivamente.

 

L’infiammazione di per sé non è negativa, anzi, è un processo fondamentale quando il corpo si trova di fronte ad un’aggressione, interna o esterna. Se tutto funziona bene si tratta di una reazione acuta, di breve durata e quindi destinata ad esaurirsi in poco tempo. Pensate per esempio a quando ci si fa un taglietto o si viene morsi da un insetto. La regione interessata diventa rossa, gonfia, dolorante, poi pian piano tutto rientra nella normalità. È stato un momento di urgenza in cui l’organismo, in particolare il sistema immunitario, ha concentrato lì le sue attenzioni.

 

L’infiammazione che invece oggi è presente in tante persone è diversa in termini di intensità, durata e cause: è sub-acuta, latente, persistente ed è causata da un disequilibrio che spesso parte dall’intestino, il nostro secondo cervello. Questo significa che da fuori, ad uno sguardo superficiale, possono non esserci segni evidenti d’infiammazione, ma in profondità è come se ci fosse un fuocherello sempre acceso, che alla lunga finisce per aggredire e ledere tessuti e organi, compromettendone la funzionalità, diminuendo la vitalità e la resistenza di una persona.

 

Quali sono le cause? Sempre le stesse: alimentazione inadeguata, sedentarietà, carenza di sonno, inquinamento di aria, suolo, acqua, acustico, elettrosmog, non rispetto dei ritmi circadiani, eccesso di stress, non sapere più perché e per cosa si corre (o si correva) da mattina a sera…

 

Se sono chiare a tutti perché non si decide, ai piani alti, di investire prima di tutto sulla prevenzione e sull’educazione alla salute? C’è ancora chi pensa che se fosse così semplice si sarebbe già fatto. Ognuno vede quello che vuole vedere, ognuno si dia la propria risposta.

 

Resta il fatto che, se in un organismo già infiammato e stanco si aggiunge altra infiammazione perché arriva un virus che non ha mai visto e le sentinelle del sistema immunitario si mettono, giustamente, in stato di allerta, questo può oltrepassare il livello di sopportazione del corpo che quindi è destinato a soccombere, non avendo abbastanza forza e vitalità.

 

Ecco perché credo sia importante focalizzarsi sul terreno nella sua interezza anziché pensare solo a potenziare le difese immunitarie nei momenti critici. Il terreno è qualcosa di molto più ampio e va sempre mantenuto in equilibrio. Gli elementi che lo influenzano sono tanti, come accennato sopra. Oltre ad aspetti strettamente fisici il terreno include anche come affrontiamo la vita, le frustrazioni, le preoccupazioni, come riusciamo a gestirle e tanto altro ancora. Alcune persone hanno uno stile di vita buono fisicamente, seguono una dieta equilibrata, fanno sport, dormono il giusto, ma si ammalano ugualmente, magari perché non si sono altrettanto occupate della sfera psico-emotiva o di quella spirituale, che pure fanno parte del terreno.

 

Porre la nostra attenzione su come ridurre l’infiammazione e aumentare la vitalità invertirebbe il problema. Non saremmo più tanto preoccupati di essere contaminati da un virus ma di potenziare la nostra forza e la nostra resistenza. Questa è la responsabilizzazione alla quale dovremmo essere educati.

 

Non mi stancherò mai di dire che i microrganismi non sono nostri nemici, fanno parte della vita, di noi e del nostro ecosistema da sempre. Addirittura non potremmo vivere senza di loro. Essi sono, tra l’altro, capaci di cambiare e adattarsi molto più rapidamente di noi. Per questo la corsa ad armarci contro il nemico virus è persa in partenza. Si tratta invece di fare pace con noi stessi e cessare di maltrattare il nostro corpo.

 

Cosa possiamo fare quindi per attuare un cambio di paradigma?

 

Prima di tutto permetterci di essere in migliore salute e rivendicare questo diritto, un diritto di tutti, a prescindere dall’età, agendo a livello individuale sugli aspetti della nostra vita sui quali abbiamo il controllo, ma anche esigendo come collettività che si sviluppi un sistema sanitario veramente interessato alla salute della gente. Un sistema sanitario che non si accontenti di trattare i sintomi ma voglia andare alle radici della malattia.

 

Anche nel caso di pazienti cronici si può intervenire sullo stile di vita per migliorare a monte la loro condizione. Il vero cambiamento dovrebbe passare attraverso una politica sanitaria che miri ad incrementare il livello di salute di tutti i cittadini, in particolare i più fragili. Penso alle persone anziane delle case di riposo che vivono talvolta in condizioni disumane, trattate a forza di farmaci antidolorifici e antinfiammatori. Questo non perché il personale sanitario non voglia occuparsi di loro (può accadere anche questo ma credo e spero che si tratti di eccezioni), ma perché a volte non ha altra scelta, essendo stato così ridotto da non riuscire a gestire meglio la qualità di vita degli ospiti della struttura. Non è sorprendente che ci sia un alto tasso di mortalità tra gli anziani in caso di epidemia.

 

Non si tratta di abbandonare i farmaci, ci sono casi in cui sono utili e anche indispensabili, ma bisogna prima di tutto, o in parallelo, agire sulle cause. Questo significa formare medici e terapeuti, stabilire che l’industria alimentare e le industrie farmaceutiche rinuncino ai loro enormi profitti e che ciascuno scelga un modo di vita più sano e consono alla natura umana. Utopia? Forse, ma senza una riforma globale è difficile che faremo meglio alla prossima epidemia.

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