Come scegliere il cibo più adatto a noi?

Come scegliere il cibo più adatto a noi?

Quasi ogni giorno mi sento chiedere se il tale alimento fa bene o fa male. Non mi stupisce che tante persone si sentano confuse di fronte al proliferare di informazioni contraddittorie sull’alimentazione, alla criminalizzazione di alcuni alimenti, come se fossero il capro espiatorio di tutti i mali, e all’esaltazione di altri considerati, al contrario, la panacea di tutti i mali.

 

In realtà tutto dipende da quello su cui ci si focalizza. Si guarda l’impatto glicemico? Allora la banana non va bene, è troppo zuccherina rispetto ad altri frutti, però va bene se si considera il suo potere alcalinizzante. La carne si dice che è meglio evitarla perché acidifica, ma va bene se una persona è anemica. Il pesce contiene metalli pesanti, ma fa benissimo se si guarda la ricchezza di acidi grassi antinfiammatori omega 3. Si potrebbe continuare con pressoché qualsiasi alimento, perché in base a dove si mette l’attenzione può risultare “buono” o “cattivo”.

 

Quanto possono trarre in inganno ed essere pericolose le classificazioni rigide e standardizzate? Oggi più che mai si tende a generalizzare e quindi banalizzare, cercando alimenti miracolosi e un protocollo che vada bene per tutti, che in realtà non esiste, non può esistere, perché ognuno di noi ha la sua specificità ed è in continuo mutamento. Dove sta quindi la soluzione? Cosa fa bene e cosa fa male? Dipende.

 

È una risposta che non piace perché non definisce, ma tutto dipende da chi si ha di fronte. La salute si trova nell’equilibrio perciò è quello che andrebbe ricercato, anche nell’alimentazione. Più che l’alimento in sé, è l’insieme degli alimenti che si introducono che conta, come li si associa, come li si prepara, in che momento della giornata li si assume. Inoltre, e non meno importante, la dieta, intesa nel suo significato originale di stile alimentare e di vita, dev’essere fatta ad personam, su misura individuale, tenendo in considerazione numerosi parametri: età, lavoro, ambiente di vita, sintomi presenti e passati, assunzione di farmaci, carattere, relazione (anche emotiva) con il cibo, insomma tutto il vissuto di una persona, tutto il suo “terreno”.

 

Senza dubbio ci sono prodotti che sono solo cibo finto e andrebbero evitati da chiunque perché portano calorie vuote e nessun nutrimento. Sono la maggior parte del cibo industriale, processato, impacchettato, inscatolato, quello che soddisfa il palato, spesso crea dipendenza (è studiato proprio a questo scopo), lasciando al tempo stesso il corpo denutrito. La malnutrizione non deriva solo dalla carenza di cibo ma anche, e oggi è spesso così, dalla sovra-alimentazione di cattiva qualità. Poi c’è la gamma del cibo vero, dei prodotti che hanno subito il minor numero possibile di trasformazioni rispetto alla loro origine, gamma all’interno della quale si possono e si dovrebbero scegliere quelli adatti ad una certa persona in un determinato momento della sua vita. È come un vestito che deve essere cucito su misura individuale, con precisione, altrimenti risulterà troppo largo o troppo stretto e per quanto creato con una stoffa ricercata e pregiata non starà bene su chi lo indossa.

 

Uno dei miei insegnanti, Pierre Valentin Marchesseau, era solito ripetere che l’alimento (cibo vero intendeva) non ha valore in sé ma in funzione dell’apparato digerente che lo riceverà. Può avere ottime qualità in teoria ma non essere per tutti, può risultare perfetto per una persona e del tutto inadeguato per un’altra. Ricordo sempre un inverno in cui mi sforzavo di mangiare almeno un’arancia ogni mattina sebbene il solo pensiero mi provocasse una spiacevole sensazione di freddo. Lo mangiavo semplicemente perché ritenevo che quell’arancia quotidiana, con il suo contenuto di vitamina C, avrebbe sostenuto il mio sistema immunitario. In realtà, su di me, aveva l’effetto esattamente opposto e la reazione che sentivo era un chiaro segnale del mio organismo che mi stava dicendo “non mi piace”, segnale che tuttavia ignoravo.

 

Io credo che imparare che cosa sia per noi e cosa non lo sia, rappresenti un’arte che va appresa ed affinata giorno dopo giorno e parta da un aspetto fondamentale della conoscenza di se stessi, ovvero l’auto-osservazione. Il corpo parla, continuamente ci lancia messaggi, che però a volte non siamo abili a cogliere e decifrare. È importante recuperare questa abilità, con l’allenamento quotidiano, ed è la ragione per cui propongo sempre ai miei pazienti di tenere almeno per un periodo un diario alimentare. Come ci si sente dopo avere mangiato? Leggeri, pesanti, gonfi, assonnati, lucidi? Come si dorme? Come si elimina? Dati semplici e apparentemente banali come questi indicano se siamo sulla buona strada oppure no, al di là di tutte le teorie alimentari. È un lavoro che comporta tempo e pazienza, ma alla fine conduce ad una più profonda conoscenza di se stessi.

 

Sarebbe senz’altro più semplice e rapido ricevere un protocollo da seguire alla lettera, o addirittura limitarsi a prendere una pillola, senza doversi preoccupare di osservarsi, sentirsi, scegliere e decidere personalmente, ma non sarebbe né utile né educativo. Potrebbe, forse, dare risultati nell’immediato, ma difficilmente consentirebbe di consolidarli nel lungo periodo. Le cose funzionano quando apprendiamo un metodo, lo capiamo, lo facciamo nostro.

 

Mi piace pensare che questo dovrebbe essere il compito di chi si occupa di nutrizione e più in generale di salute e benessere: fornire un metodo. Se le basi ci appartengono siamo anche in grado di adeguarci ai cambiamenti che inevitabilmente si manifestano lungo la via, perché nulla è definitivo, nemmeno uno stile alimentare. Va adeguato nel tempo. Possedere un metodo, essere flessibili ed osservare se stessi sono aspetti imprescindibili per trovare un equilibrio e riuscire a mantenerlo. Essendo un approccio più difficile, più lungo, impegnativo, responsabilizzante, non piace a tutti. A mio parere tuttavia, questa è l’unica strada che ci permette di diventare il principale medico di noi stessi, sentirci un po’ più liberi, autonomi, indipendenti, oltre che un po’ più in salute. È un percorso che non finisce mai in realtà.

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