Olio di cocco: un grasso sano o da usare con cautela?

Olio di cocco: un grasso sano o da usare con cautela?

Il cocco, un frutto esotico che fino a pochi anni fa si trovava solo in certi negozi specializzati, è ormai diventato un alimento di uso comune, molto apprezzato da chi segue una dieta ad alto tenore di grassi e raccomandato da molti esperti di nutrizione.

È diventato così popolare che ormai si trova facilmente nella maggior parte dei supermercati.

 

Le diverse forme in cui si presentano i suoi derivati lo rendono assai versatile in cucina: scaglie, latte, crema, yogurt, olio. Oggi vorrei soffermarmi in particolare sull’olio di cocco.

 

L’olio di cocco è costituito per oltre il 90% da acidi grassi saturi a catena media (MCT, dall’inglese medium chain triglycerides), in particolare acido laurico (45-50%) e acido miristico (16-20%). Essi fanno parte dei grassi considerati, fino a pochi anni fa, pericolosi per la salute cardiovascolare e oggi rivalutati, a tal punto da considerarli addirittura benèfici. È da notare che questi acidi grassi sono presenti nell’olio di cocco in una percentuale molto più alta rispetto a quella del famigerato olio di palma, che contiene circa il 40% di grassi saturi, sotto forma per lo più di acido palmitico e acido stearico (a catena lunga).

 

Mentre l’acido stearico è considerato innocuo, all’acido palmitico è stata attribuita la fama di grasso “pericoloso” perché è stato associato ad un aumento del colesterolo LDL. In realtà gli scienziati non sono più così categorici a tale riguardo. È emerso infatti che l’incremento di colesterolo LDL va di pari passo con l’aumento di colesterolo HDL ed è ridotto se il palmitico è consumato insieme ad acidi grassi insaturi. Alla luce di questo dato, perché l’olio di palma sarebbe così dannoso e l’olio di cocco tanto salutare?

 

Il discorso è diverso per il burro, anch’esso bandito dalle nostre tavole dal secondo dopoguerra del secolo scorso ed oggi giustamente riammesso da medici e nutrizionisti. Pur contenendo una buona componente di acidi grassi, ha un profilo lipidico più equilibrato rispetto agli oli tropicali: 35-40% di acido oleico (monoinsaturo, lo stesso di cui è ricco l’olio d’oliva), 25% di acido palmitico, 10% di acido stearico e poi altri acidi grassi in proporzioni inferiori. Il burro contiene tra l’altro il 15% di acqua.

 

Proprietà dell’olio di cocco

I pregi, veri o presunti, dell’olio di cocco assunto per via interna andrebbero ad aggiungersi ad altri che avrebbe quando è impiegato per applicazioni esterne (sulla pelle, sui capelli, eccetera).

 

Tra le proprietà che gli vengono attribuite l’olio di cocco manifesta una forte attività antimicrobica, antivirale e antifungina. Alcuni studi in vitro hanno mostrato la sua efficacia nel contrastare la proliferazione del fungo Candida albicans. Svolge un’azione lenitiva sulla mucosa intestinale e pur provocando un lieve aumento del colesterolo totale incrementa anche il livello della frazione HDL (considerato la frazione “buona” del colesterolo totale).

 

In letteratura ci sono diversi studi sull’olio di cocco che metterebbero in luce alcune sue qualità però molti di essi sono ancora ad uno stadio preliminare. Nella maggior parte dei casi si tratta di esperimenti condotti su cavie da laboratorio e/o in vitro, quindi non è scontato che si riscontrino gli stessi effetti nell’essere umano. Anche sul ruolo protettivo che avrebbe nella prevenzione del morbo di Alzheimer e nell’attenuare i sintomi in caso di malattia conclamata, gli scienziati si esprimono con grande cautela. Sono studi interessanti, tuttavia richiedono di essere confermati.

 

Altri lavori, al contrario, portano a conclusioni differenti. In uno studio pubblicato di recente, per esempio, si afferma che l’olio di cocco assunto come alimento non comporta benefici dal punto di vista cardiometabolico, né miglioramenti dei parametri antropometrici, lipidici, glicemici e di infiammazione subclinica.

 

A proposito di MCT

Il fatto che gli MCT, di cui abbonda l’olio di cocco, siano più facilmente assorbiti rispetto agli acidi grassi a lunga catena e possano essere rapidamente ossidati, sono effettivamente dei punti a loro favore in caso di malassorbimento intestinale o di forte dispendio energetico. In tali circostanze il loro consumo in quantità consistenti potrebbe essere giustificato. Lo è anche in altri casi?

 

Pur essendo rapidamente assimilati ciò non implica che gli MCT siano sempre altrettanto velocemente metabolizzati. Lo sono se c’è una reale richiesta energetica. Essendo liberi di muoversi senza essere inglobati nei trigliceridi, gli MCT possono rappresentare un problema quando sono in eccesso, perché aumenta la probabilità che vadano a depositarsi dove non dovrebbero, per esempio nelle arterie, favorendo la formazione di placche aterosclerotiche.

 

Nel momento in cui si decida di consumare olio di cocco o altri derivati del cocco, è doveroso pensare alla sua provenienza. Essendo un prodotto extra Unione Europea, non è garantito che sia privo di pesticidi, metalli pesanti e residui chimici. Le leggi che regolamentano l’uso di queste sostanze nelle coltivazioni sono infatti diverse, in generale assai più blande, al di fuori dell’Unione Europea, anche quando si tratta di agricoltura biologica. Per quanto riguarda l’olio di cocco in particolare, si usano oli minerali per la sua estrazione, eliminati successivamente tramite dei solventi di cui possono rimanere tracce nel prodotto finale.

 

In conclusione

Da un lato, come già sottolineato in un precedente articolo, è doveroso riabilitare i grassi saturi, non averne più tanta paura come è avvenuto nel recente passato e riconoscere loro un giusto spazio in un regime dietetico equilibrato.

 

D’altro canto, è opportuno distinguere tra i vari tipi di grassi saturi (analogamente a quelli insaturi) poiché non tutti si equivalgono, e valutare quale consumo, in termini di qualità e quantità, sia adeguato alle proprie condizioni fisiche e al proprio dispendio energetico.

 

Rispetto all’olio di cocco, vorrei capire se la venerazione che è stata fatta dell’olio di cocco sia fondata o sia invece l’ennesima campagna mediatica per riuscire a vendere un nuovo superfood. Mi chiedo anche se i benefici riscontrati da chi fa un uso regolare di olio di cocco derivino dall’olio di cocco in sé o piuttosto dall’avere abbandonato o ridotto i pessimi oli vegetali idrogenati, sicuramente i peggiori tra tutti i grassi esistenti destinati al consumo umano.

 

Non sto dicendo che l’olio di cocco non possegga le virtù che gli vengono attribuite, ma in attesa di studi epidemiologici più completi ed approfonditi sarebbe opportuno farne un uso attento. Altrimenti, non si rischia di commettere lo stesso errore che abbiamo fatto riempiendoci di oli di semi e margarine quando pensavamo che fossero migliori di burro, lardo e strutto?

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