Olio di cocco: un grasso sano o da usare con cautela?
La scorsa settimana ci siamo lasciati con una domanda riguardante i grassi saturi, in particolare i grassi saturi a catena media (MCT, dall’inglese medium chain triglycerides), denigrati fino a pochi anni fa e oggi osannati in tanti ambienti che si occupano di nutrizione e di fitness.
La domanda era la seguente: alla luce di quanto sappiamo oggi, è davvero giustificato questo totale ribaltamento di visione? Inoltre, possiamo affermare che valga per tutti gli MCT senza distinzione?
Se alcuni acidi grassi a catena media erano e restano tutto sommato innocui (come l’acido caprilico e l’acido caprico), altri, come l’acido laurico e l’acido miristico, prima considerati dannosi, oggi sono diventati addirittura buoni e benèfici tanto da inserirli tutti i giorni ad ogni pasto?
A giudicare dalla fama che ha assunto l’olio di cocco parrebbe proprio così. L’olio di cocco è costituito per oltre il 90% da acidi grassi saturi, in particolare acido laurico (45-50%) e acido miristico (16-20%), una percentuale molto più alta rispetto a quella del famigerato olio di palma, che contiene circa il 40% di grassi saturi, sotto forma per lo più di acido palmitico e acido stearico (a catena lunga), entrambi innocui per quanto ne sanno oggi gli scienziati.
Proprietà dell’olio di cocco
Non c’è sito, blog o giornale di salute e benessere che non parli degli innumerevoli pregi dell’olio di cocco, che andrebbero ad aggiungersi ad altri già noti quando è impiegato per applicazioni esterne (sulla pelle, sui capelli, eccetera).
Tra le proprietà che gli vengono attribuite l’olio di cocco manifesta una forte attività antimicrobica, antivirale e antifungina. Alcuni studi in vitro hanno mostrato la sua efficacia nel contrastare la proliferazione del fungo Candida albicans. Svolge un’azione lenitiva sulla mucosa intestinale e pur provocando un lieve aumento del colesterolo totale incrementa anche il livello della frazione HDL (considerato la frazione “buona” del colesterolo totale).
È diventato così popolare che ormai si trova facilmente in tutti i negozi di alimentazione naturale e in molti supermercati.
Devo ammettere che anch’io ho passato un periodo in cui, leggendo di questo grasso ogni bene, ne sono rimasta affascinata e ho iniziato ad incorporarlo nei miei piatti, anche perché dal punto di vista gustativo mi piace molto in qualsiasi forma mi si presenti: scaglie, latte, crema, olio. Tuttavia, l’ho sempre fatto con grande moderazione perché nutrivo dei dubbi e qualcosa mi suggeriva di usarlo con cautela.
In letteratura ci sono diversi studi sull’olio di cocco però molti di essi sono ancora ad uno stadio preliminare. Nella maggior parte dei casi si tratta di esperimenti condotti su cavie da laboratorio e/o in vitro, quindi non è scontato che si riscontrino gli stessi effetti nell’essere umano. Anche sul ruolo protettivo che avrebbe nella prevenzione della malattia di Alzheimer e nell’attenuare i sintomi in caso di malattia conclamata, gli scienziati si esprimono con grande cautela. Sono studi interessanti, promettenti, ma che ancora richiedono conferme.
Sì però…
Il fatto che gli MCT, di cui abbonda l’olio di cocco, siano più facilmente assorbiti degli acidi grassi a lunga catena e possano essere rapidamente ossidati, sono effettivamente dei punti a loro favore in caso di malassorbimento intestinale o di forte dispendio energetico. In tali circostanze il loro consumo, incluso quello dell’olio di cocco, può essere giustificato. Ma lo è anche in tutti gli altri casi?
Pur essendo rapidamente assimilati ciò non implica che gli MCT siano sempre altrettanto velocemente metabolizzati. Lo sono se c’è una reale richiesta energetica. Essendo liberi di muoversi senza essere inglobati nei trigliceridi, gli MCT possono rappresentare un problema quando sono in eccesso, perché aumenta la probabilità che vadano a depositarsi dove non dovrebbero, per esempio nelle arterie, favorendo la formazione di placche aterosclerotiche.
Il discorso è diverso, mi pare, per il burro, anch’esso ampiamente rivalutato. Pur contenendo una buona componente di acidi grassi, ha un profilo lipidico più equilibrato rispetto agli oli tropicali: 35-40% di acido oleico (monoinsaturo, lo stesso di cui è ricco l’olio d’oliva), 25% di acido palmitico, 10% di acido stearico e poi altri acidi grassi in proporzioni inferiori. Il burro contiene tra l’altro il 15% di acqua.
In conclusione, vorrei davvero capire se la venerazione che è stata fatta dell’olio di cocco sia fondata o sia invece l’ennesima campagna mediatica per riuscire a vendere un nuovo superfood. Mi chiedo anche se i benefici riscontrati da chi fa un uso regolare di olio di cocco vengano dall’olio di cocco in sé o piuttosto dall’avere abbandonato o ridotto i pessimi oli vegetali idrogenati, sicuramente i peggiori tra tutti i grassi esistenti destinati al consumo umano.
Da un lato, per le conoscenze che abbiamo oggi, mi sembra doveroso riabilitare i grassi saturi e non averne più tanta paura come è avvenuto nel recente passato, facendo opportune distinzioni tra i vari tipi di grassi saturi (analogamente a quelli insaturi) e riconoscendo loro un giusto spazio in un regime dietetico equilibrato.
D’altro canto, prima di mettersi a mangiare olio di cocco a cucchiai, sarebbe opportuno valutare se tale consumo sia giustificato e adeguato alle proprie condizioni fisiche e al proprio dispendio energetico.
Non sto dicendo che l’olio di cocco non possegga le virtù che gli vengono attribuite, ma in attesa di studi epidemiologici più completi ed approfonditi sarebbe forse opportuno farne un uso attento. Altrimenti, non si rischia di commettere lo stesso errore che abbiamo fatto riempiendoci di oli di semi e margarine quando pensavamo che fossero migliori di burro, lardo e strutto?
Tu cosa ne pensi? Ti sei posto anche tu queste domande o sono io che mi sono persa qualcosa?
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