Ognuno di noi conta e può fare qualcosa
Avevo deciso di non parlare più della “pandemia”, però non ci riesco. Sento il bisogno di mettere nero su bianco alcune idee per provare a collegare i puntini. Ho bisogno di collegare i puntini, ma in questa situazione me ne mancano ancora tanti.
Negli ultimi giorni, di fronte ai fatti accaduti dopo l’ultimo decreto di ottobre emanato dal governo, ho sentito diverse persone accusare i ristoratori che hanno avuto il coraggio di scendere in piazza. C’è addirittura chi invoca l’intervento delle forze dell’ordine per reprimere tali manifestazioni, che nella maggior parte dei casi si sono svolte pacificamente e nel rispetto del distanziamento sociale.
Certo, come sempre c’è stato qualche delinquente che ha approfittato della situazione per creare tafferugli, ma si tratta di una minoranza di persone. Chi ha bisogno di un colpevole non perde occasione per puntare il dito contro chi si discosta dalle regole, anche quando non hanno alcun senso. Prima erano i runners solitari additati come untori, poi i giovani della presunta movida, quelli che si avvicinano troppo al bancone del bar o sono troppo lenti a rimettere la mascherina dopo avere bevuto il caffè, ora i lavoratori che scendono in piazza perché hanno paura di non potere più sfamare i propri figli.
Credo invece che chi oggi è lì a reclamare il diritto di lavorare nel rispetto delle norme di sicurezza sia un esempio virtuoso di coraggio e dignità. Queste persone, che temono di non potere più riaprire le loro attività, dovrebbero essere sostenute da tutti, se non fisicamente almeno moralmente. Tra poco, anche chi finora ha potuto contare su uno stipendio fisso non lo riceverà più. Poi sarà la volta di chi ha un posto statale, quello considerato sicuro per la vita, finirà anche quello. Presto non ce ne sarà più per nessuno.
È impressionante come siamo arrivati a questo punto. Ci dicono che siamo di fronte alla seconda ondata che tanti temevano e si aspettavano, a conferma del fatto che si tratta di un virus stagionale, ma le misure che sono state prese negli ultimi mesi per arginare questa paventata possibilità sono a dir poco inadeguate, irrealiste e ridicole. Fiumi di parole su come riaprire le scuole, soldi buttati per acquisti inutili come i banchi con le rotelle, quintali di plexiglas e mascherine sulla cui utilità la stessa OMS ha cambiato versione duecento volte e quasi nulla di fatto per potenziare il personale sanitario. Sono i medici stessi che lo dicono.
Non mi è chiaro, ad oggi, come sia la situazione negli ospedali e negli studi medici, c’è chi dice una cosa e chi il suo contrario. Ho chiesto ad un’infermiera che conosco, mi ha detto che nell’ospedale dove lavora non c’è sovraffollamento nel pronto soccorso e nei reparti. Ci sono invece, e questo è più preoccupante, forti ritardi delle cure destinate ad altri pazienti con patologie diverse dal Covid-19, perché a seguito delle nuove disposizioni tutto si è terribilmente complicato.
Se sia la stessa situazione ovunque non so, ma una cosa è certa: molte persone sono terrorizzate, soprattutto gli anziani che vivono soli. Ne conosco alcuni che non escono più di casa perché credono che il virus aleggi nell’aria e non c’è modo di convincerli che non è così. Non chiamano nemmeno il medico per timore che gli venga fatto il tampone, ma sono proprio loro che più di tutti andrebbero curati a casa all’insorgere dei primi sintomi influenzali.
È l’inevitabile conseguenza da un lato di una disinformazione terrorizzante che da mesi, ininterrottamente, dà numeri a caso, senza contestualizzarli, dall’altro lato della ricerca spasmodica dei contagiati, la maggior parte dei quali, tra l’altro, non presenta sintomi. Cosa, quest’ultima, che in realtà dovrebbe essere una buona notizia (ammesso e non concesso che si stiano usando gli strumenti adeguati per individuare l’infezione da Sars-CoV-2), poiché significherebbe che noi ci stiamo adattando al virus e lui a noi, ma viene presentata in maniera diametralmente opposta.
Gli strumenti adeguati dicevo. Sì perché se ci si ferma un attimo a riflettere tutto si basa su test che non sono proprio l’emblema dell’affidabilità e della riproducibilità. Anche su questo aspetto c’è una bella confusione.
Con la PCR si riesce potenzialmente ad amplificare qualsiasi sequenza genica, dipende dalle condizioni di settaggio dell’esperimento. Non sto dicendo che i risultati dei tamponi siano sbagliati a priori ma che il grado di specificità per la sequenza o le sequenze che si cercano, in questo caso specifiche al Sars-CoV-2, dipende da diverse variabili:
- costruzione dei primers che si appaiano all’acido nucleico (RNA o DNA) e innescano la reazione di amplificazione,
- numero dei cicli di amplificazione,
- temperatura della reazione,
- scelta dei controlli positivi e negativi.
Non è così scontato definire questi parametri con la certezza di avere la specificità per il target d’interesse. Bastano piccole variazioni per correre il rischio di amplificare qualsiasi sequenza assomigli vagamente a quella bersaglio, alterando pertanto il risultato in una direzione o nell’altra. Ci sono quindi limiti importanti insiti nella tecnica stessa.
A parte il fatto che i ricercatori non sono nemmeno d’accordo sul fatto che il virus sia stato isolato e sul modo in cui sono stati disegnati i primers, una cosa so: la PCR è un’arma a doppio taglio. Il suo punto di forza è l’estrema sensibilità ma ciò rappresenta anche la sua criticità. Ho usato questa tecnica per oltre sedici anni durante i quali ho lavorato in laboratori di genetica e biologia molecolare. Mai e poi mai mi sarei sognata di utilizzarla come unico strumento per dimostrare la validità o, al contrario, la non correttezza di una tesi da confermare o confutare. Il test PCR ha valore solo se combinato ad altre tecniche di sperimentazione, non in quanto tale.
A maggior ragione non dovrebbe essere usato come strumento diagnostico, a detta anche del suo stesso inventore, poiché comporta un elevato rischio di falsi positivi e negativi. Lo hanno ripetuto in tanti ricercatori in questi mesi ma di fatto il test molecolare rimane l’esame di riferimento per cercare l’eventuale infezione da Sars-CoV-2.
Oltre alle limitazioni intrinseche ai tamponi, alcuni ricercatori sostengono che il test PCR sia uno strumento inappropriato a prescindere per cercare il virus, come spiegato dalla dottoressa Loretta Bolgan in una recente intervista.
Alla luce di questo mi chiedo e vi chiedo: senza i test PCR con tutte le incongruenze ad essi associate e senza l’esagerata attenzione mediatica che le è stata data, la “pandemia” da Sars-CoV-2 esisterebbe ugualmente? O saremmo di fronte ad un’influenza stagionale un po’ più virulenta del normale, che per una certa categoria di persone può portare a complicanze assai più gravi di una comune influenza ma per la maggioranza degli individui si risolve senza creare grossi problemi?
Amplificazione è il termine che più mi viene da associare alla situazione assurda in cui ci troviamo nostro malgrado: amplificazione di sequenze virali più o meno specifiche, amplificazione dei numeri, amplificazione dell’idea fuorviante che contagiato sia sinonimo di ammalato e untore e quindi si debba testare l’intera popolazione per scovare i positivi, amplificazione della sensazione che siamo di fronte ad una catastrofe mondiale che presto ci ucciderà tutti. Di fronte al terrore che si è radicato nella gente, la reazione più naturale è quella di credere alla narrazione univoca dei canali ufficiali: c’è un virus cattivo là fuori, c’è un test per individuare gli infetti, ci sarà presto un vaccino buono che ci proteggerà quindi si tratta solo di avere la pazienza di aspettare ed essere disposti a fare qualche sacrificio per il bene della collettività. Chi non lo fa è un egoista, un untore e va punito. Sembra non fare una piega questo discorso, dà un senso di protezione e sicurezza. Beh di pieghe invece ne ha tante, secondo me.
La stessa OMS afferma che gli indici di letalità e di mortalità dell’infezione da Sars-CoV-2 sono paragonabili a quelli dell’influenza stagionale. Il problema, quindi, non è la presenza del virus in sé ma le complicanze gravi, a volte fatali, che possono insorgere in alcune persone la cui salute è già indebolita da altre cause, per esempio la presenza di altre patologie. Queste sono le persone da proteggere. Tuttavia, non le si protegge isolando i sani, chiudendo bar e ristoranti un’ora prima, impedendo alla gente di lavorare e di vivere, bensì rinforzando il “terreno” di tutta la popolazione, forti e meno forti. Come?
Prima di tutto agendo sulla prevenzione primaria, informando come si attua nel quotidiano un sano stile di vita con una corretta alimentazione, movimento, sole, integrazione di vitamine e minerali, sostegno psico-emotivo, disintossicazione, eccetera. Se questo non bastasse ci sono anche alcuni farmaci che possono venire in aiuto, ma il resto non è meno importante, dovrebbe essere prioritario. In quanto entità priva di vita propria, un virus può replicarsi solo se trova un ospite disponibile ad accoglierlo e nelle cellule di quell’organismo si replica se, e solo se, trova terreno fertile, come tutti i microrganismi. Teoria del terreno in opposizione alla teoria del microbo, quella tanto cara a Louis Pasteur.
Forse una delle poche cose sulle quali i vari esperti sono d’accordo è proprio il fatto che il virus non sia pericoloso in quanto tale ma in funzione delle condizioni dell’ospite, osservazione che conferma quello che sosteneva Antoine Béchamp, oppositore di Pasteur, circa due secoli fa: il terreno è tutto, il microrganismo non è niente. Se così non fosse non esisterebbero gli asintomatici positivi o i pauci-sintomatici, starebbero tutti male dopo il contatto con il virus. Eppure quasi tutti gli sforzi messi in atto finora sono stati e sono indirizzati a debellarlo, la cosa più anti-biologica e innaturale che esista, praticamente impossibile da realizzare.
Una speranza nel vaccino? Tralasciando tutti gli aspetti legati alla sicurezza e all’efficacia dei cosiddetti vaccini di nuova generazione (che non significa migliori ma estremamente più pericolosi poiché privi di un’adeguata sperimentazione), ce ne vorrebbero di vaccini per tutte le varianti virali che già ci sono in circolazione e altre che si svilupperanno! Sarebbe una corsa a rincorrere un microrganismo in continua mutazione, una causa persa in partenza. Perché poi l’immunità data dal vaccino andrebbe bene e quella naturale no? Quante contraddizioni!
E i giovani che si ammalano di Covid-19? E tutte quelle persone che non hanno altre patologie e si sono ammalate lo stesso? Perché? Essere giovani non significa automaticamente essere sani, soprattutto oggi. Non avere sintomi non significa necessariamente stare bene. Se si vive senza rispettare il proprio corpo, la natura e la fisiologia dell’essere umano (per scelte che in parte dipendono direttamente da noi e in parte no) si può essere infiammati, intossicati e in disbiosi senza saperlo anche a vent’anni e quindi avere un terreno perfetto per l’infezione e la proliferazione di questo o altri patogeni oppure per lo sviluppo di altre patologie.
Non è la giovane età da sola che garantisce una condizione di salute ma l’età unita allo stile di vita (in senso molto ampio), all’ambiente e alla genetica. Anche un giovane non può prescindere dalla prevenzione, quella vera, primaria, e ancor meno se lo può permettere un meno giovane o una persona che già abbia dei problemi di salute conclamati. Lo hanno detto questo TV e giornali? Non lo so perché non ho la TV da dieci anni però non mi risulta. Al contrario, stili di vita e sostanze naturali che rinforzano le difese naturali, usate e promosse anche da tanti medici aperti alle cure naturali e alla medicina integrata, oltre che da operatori della salute cosiddetti alternativi, sono stati derisi e messi al bando come se si trattasse di acqua fresca: vitamina D, vitamina C, zinco, selenio, alfalattoalbumina, lattoferrina, melatonina, quercetina, esperidina, glicirrizina, resveratrolo, mille e cinquecento piante che modulano il sistema immunitario e potrei continuare.
Anche tra le cure farmacologiche ce ne sono che hanno dato prova di efficacia, come l’idrossiclorochina e/o certi cortisonici che alcuni medici hanno suggerito di usare non solo in ospedale ma già durante le cure a domicilio, all’insorgere dei primi sintomi. Oppure la plasmaferesi alla quale non è stato dato alcun rilievo mentre avrebbe potuto diventare un fiore all’occhiello della professionalità italiana. O ancora l’ozonoterapia, i rimedi omeopatici e probabilmente altro che dimentico. Tutte cure da applicare in fasi diverse della malattia che o sono state vietate (come l’idrossiclorochina, che nella vicina Svizzera si compra addirittura in farmacia) o sono state messe nel dimenticatoio.
Accanto alla brutta notizia di un nuovo virus, che quindi spaventa come tutto ciò che ancora non si conosce, si sarebbero potute dare, e si potrebbero tuttora dare, buone notizie per tranquillizzare la gente e fornire un quadro assai meno allarmante della situazione: c’è un problema ma ci sono anche delle soluzioni che nella maggior parte dei casi funzionano. Perché non lo si è fatto e si continua a cavalcare l’onda del panico? Perché tutta questa ostilità o mancata considerazione da parte degli esperti consiglieri del governo verso cure che hanno dato prova di validità e che molti medici a livello nazionale e internazionale reputano degne di attenzione? La preziosissima vitamina D, tanto per fare un esempio, è stata denigrata anche di fronte all’evidenza che tutti o quasi tutti i morti di Covid-19 avessero almeno una cosa in comune: bassissimi livelli di vitamina D.
Non solo, ma mi chiedo: è possibile che alla luce di tutto quello che abbiamo vissuto, imparato e del tempo che c’è stato dalla prima ondata del virus, non esista ad oggi un protocollo ufficiale unico per tutti i medici di base che operano in Italia, dalla Val d’Aosta alla Sicilia?
Ma davvero voi riuscite a vedere in tutto questo un senso, una logica e soprattutto l’onesta volontà di uno Stato di proteggere la salute del suo popolo? A me di puntini ne mancano tanti, troppi, e quand’è così non riesco a pensare che la situazione che si è creata sia solo il frutto di ignoranza e incompetenza.
Se vi sembra che si stia facendo il necessario e vada bene così ok, lo rispetto, lo accetto e mi fermo qua. Se invece sentite anche voi almeno alcune delle incongruenze che ho cercato di condividere qui sopra, allora vi chiedo: non accettiamo l’idea che “tanto non cambierà mai niente e alla fine vincerà di nuovo chi ha il potere, come è sempre stato”. L’ho sentito troppe volte nelle ultime settimane, è orribile, è avvilente. Voglio credere che ognuno di noi possa fare qualcosa, ognuno secondo le proprie possibilità, competenze e predisposizioni: si può manifestare in modo pacifico e nel rispetto del distanziamento sociale contro misure che si ritengono inadeguate e ingiustamente penalizzanti, si può parlare con chi ci sta vicino ed è confuso, tranquillizzare chi ha paura, condividere informazioni che ci sembrano utili alla comprensione della situazione, iscriversi ad associazioni che propongono delle azioni concrete e forniscono supporto in caso di bisogno, come FRI, pregare per cercare di dissolvere la pesante cappa di paura che ognuno di noi, immagino, sente sulla propria testa, meditare per rimanere in equilibrio nella bufera.
Ci saranno altre azioni che ho dimenticato, aggiungetele voi ma vi prego, facciamo tutti qualcosa nel nostro piccolo. Questo non è il momento di pensare che qualcun altro se ne occuperà per noi perché non ci sentiamo all’altezza o abbastanza qualcosa. Anch’io ho paura, di parlare, di dire delle inesattezze, di dare fiducia alle persone sbagliate, di fare le cose sbagliate, di essere giudicata una complottista, una negazionista e tutto il peggio che ho sentito in questi mesi e mi fa letteralmente vomitare. Ma so anche che mi fa schifo vivere nel mondo che ci stanno prospettando, non lo voglio, non ci sto, non credo alla narrazione intrisa di ipocrisia che ci viene data ogni santo giorno e farò tutto quello che posso affinché ci sia un epilogo diverso dall’unico che ci viene venduto come possibile in un prossimo futuro. Questa è una motivazione più forte della paura. Tutti abbiamo delle competenze preziose, una testa per ragionare, un senso critico da mantenere vivo e vigile oggi più che mai. Ognuno di noi conta e forse non è troppo tardi per dare una svolta diversa a questa brutta storia.
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