Grassi saturi e insaturi: quali preferire?

Grassi saturi: da nemici ad amici, ma non tutti uguali

Come dicevo in un articolo precedente, dal dopoguerra ad oggi si sono demonizzati ingiustamente i grassi saturi incentivando l’uso di oli di semi e margarine, con tutte le conseguenze nefaste per la salute che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

 

Negli ultimi anni numerosi studi in campo biomedico hanno dimostrato che si è trattato di un grande errore e i grassi saturi sono stati riabilitati: non sono un nemico da evitare ma da inserire ragionevolmente in una dieta equilibrata. Essi svolgono infatti numerose funzioni essenziali:

 

  • fanno parte dei fosfolipidi di membrana, conferendo loro una certa rigidità;
  • sono uno dei substrati per la produzione di energia cellulare;
  • aumentano il livello di sazietà;
  • sono precursori di alcuni ormoni;
  • lubrificano le mucose, in particolare quella intestinale.

 

Nei grassi saturi tutte le valenze degli atomi di carbonio sono occupate. Per questa ragione si combinano meno facilmente con altre molecole e presentano una maggiore stabilità rispetto ai grassi insaturi.

 

A seconda del numero di atomi di carbonio che li costituiscono, i grassi (mono e polinsaturi) possono essere a catena corta, media e lunga. Più lunga è la molecola e più alto è grado di saturazione, più aumenta la solidità e diminuisce la digeribilità. Gli acidi grassi a catena lunga sono comunemente incorporati nei trigliceridi, costituiti da tre molecole di acidi grassi e una di glicerolo.

 

I grassi saturi sono presenti soprattutto nei prodotti di origine animale, con qualche eccezione nel regno vegetale. È il caso di alcuni oli tropicali particolarmente ricchi di acidi grassi saturi, altrimenti sarebbero troppo liquidi alle temperature elevate in cui crescono le piante che danno loro origine.

 

Per lungo tempo i grassi saturi sono stati ritenuti tra i principali responsabili di ostruire le vene e dell’insorgenza di problemi cardiovascolari. Studi più recenti, invece, tendono a smentire tale fama. Il vero problema per quanto riguarda l’alimentazione degli ultimi sessant’anni è stato l’avere progressivamente sostituito i grassi saturi con oli vegetali idrogenati ed avere fatto un uso smodato di carboidrati.

 

A questo si aggiunge naturalmente il fatto di essersi sempre più rivolti a prodotti industriali che hanno via via sostituito un’alimentazione casalinga, frugale, fatta di un numero limitato di ingredienti poco elaborati e manipolati. Oggi, fortunatamente, le linee guida nutrizionali stanno cambiando, seppur lentamente.

 

L’avere riabilitato i grassi in generale e i grassi saturi in particolare, non significa che ora dobbiamo metterci a mangiarli senza alcun limite, ma che non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio. A mio avviso, alcuni sono ancora da usare con cautela, mentre altri sono in effetti più innocui di quanto si credesse.

 

I grassi saturi a catena lunga, come l’acido palmitico e stearico, si sono rivelati piuttosto neutri per quanto riguarda il loro effetto aterogeno. Da questo punto di vista la campagna di diffamazione dell’olio di palma (attenzione, non di palmisti, che è cosa ben diversa poiché si ottiene dal nocciolo dei frutti anziché dalla polpa ed ha un profilo lipidico molto differente da quello dell’olio di palma), ricco di acido palmitico, non ha un solido fondamento scientifico. Anzi, sul piano puramente nutrizionale l’olio di palma potrebbe essere migliore, in quanto a composizione e stabilità, rispetto a tanti altri oli vegetali con i quali è stato sostituito. Resta invece giustificato boicottare il suo consumo per i danni che provoca all’ambiente (deforestazione e tutti i problemi che ne conseguono).

 

Per gli acidi grassi a catena corta e media le cose sono un po’ più complesse.

 

Tra i grassi saturi a catena corta, l’acido butirrico, svolge un ruolo particolarmente benèfico per il tratto digerente, essendo utilizzato come fonte di energia per le cellule della mucosa intestinale. Oltre ad essere presente in piccola parte nel burro viene prodotto da alcuni microrganismi del microbiota intestinale. A questa classe appartengono gli acidi propionico, acetico e valerico, anch’essi nutrienti per gli enterociti intestinali.

 

Alcuni acidi grassi a catena media (spesso indicati con l’acronimo MCT, dall’inglese medium chain triglycerides), come l’acido laurico, sono stati considerati, almeno fino a non molto tempo fa, tra i più temibili. Alla luce di nuovi studi questa paura è stata ridimensionata poiché è emerso che fanno aumentare non solo il colesterolo totale ma anche il colesterolo HDL, considerato la frazione buona del colesterolo totale.

 

Gli acidi grassi a catena corta e media sono assorbiti più facilmente rispetto agli acidi grassi a lunga catena. Grazie alle loro limitate dimensioni, non entrano nel circolo linfatico ma sono convogliati direttamente al fegato attraverso la vena porta. Per essere trasportati non hanno bisogno di unirsi alle lipoproteine, si legano direttamente all’albumina sierica. Essendo prontamente disponibili (solo in piccola parte sono inglobati nei trigliceridi), in caso di necessità costituiscono un’ottima fonte di energia. Per queste ragioni sono spesso utilizzati da chi pratica sport intensivi.

 

Infine, gli acidi grassi a catena corta e media sembrano stimolare il funzionamento dei mitocondri, ovvero le centraline energetiche cellulari, contribuendo così ad accelerare il metabolismo. Questo li rende potenzialmente interessanti per chi segue un programma di dimagrimento e per persone che presentano disfunzioni a livello mitocondriale.

 

Queste e altre caratteristiche hanno portato gli MCT sotto la luce dei riflettori tanto da essere oggi particolarmente apprezzati. Alla luce di quanto sappiamo è giustificato questo totale ribaltamento di visione? Inoltre, possiamo affermare che valga per tutti gli MCT? Se alcuni acidi grassi a catena media erano e restano tutto sommato innocui (come l’acido caproico, l’acido caprilico e l’acido caprico), altri, come l’acido laurico, prima considerati dannosi, sono diventati buoni e benèfici. Qual è dunque il loro consumo ottimale?

 

Ne parlerò in un prossimo articolo.

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