Dove sono finiti il buon senso e la trasparenza

Dove sono finiti il buon senso e la trasparenza?

Ho trascorso in Italia tutto il periodo del lockdown. Da circa un mese sono tornata in Svizzera. Ho parlato con diverse persone, amici, vicini di casa, pazienti. Ho osservato quello che succede intorno a me, ogni giorno. Prima di arrivare credevo che qui la situazione fosse diversa, la Svizzera è nota per il suo pragmatismo.

 

In effetti molte cose sono state assai meglio gestite che in Italia: più posti letto per i ricoveri, cure più adeguate e tempestive, eccezionale capillarità della medicina di territorio, chiusura breve e meno serrata, protezione delle persone più fragili e a rischio (per esempio anziani nelle case di riposo, evitando di mescolare convalescenti con ospiti sani), protezione degli ospedali affinché non diventassero dei focolai di infezione, come è successo in diverse regioni del nord Italia. Le scuole hanno riaperto già a maggio e riprenderanno a fine agosto, come ogni anno. Questo diverso modo di procedere ha permesso di registrare complessivamente un minor numero di morti e di gravare meno sull’economia del paese.

 

Altre misure, però, non si discostano tanto da quelle prese nel nostro paese, in primis l’informazione, che ha avuto e ha tuttora come scopo quello di seminare la paura tra la gente, abituata ad ascoltare solo la TV e i giornali del mainstream, ragion per cui anche la maggior parte del popolo svizzero sta aspettando con ansia il vaccino salvifico e liberatorio per tornare finalmente alla vita di sempre.

 

Pia illusione, le ragioni le spiega con disarmante chiarezza la dott.ssa Bolgan in questo video. Non solo è probabile che non proteggerà da un bel niente ma predisporrà a severe complicanze (anche fatali) quando una persona vaccinata entrerà in contatto con il virus selvaggio, ormai assai diverso dal Sars-CoV-2 di un anno fa. Oltre al fatto che, essendo prodotto in fretta e furia (gli studi preclinici per un vaccino in tempi normali durano diversi anni!), comporterà una serie di criticità tutt’altro che trascurabili.

 

Ora però voglio parlare di un’altra cosa, un episodio che mi è successo proprio oggi ed è emblematico della paradossale situazione che stiamo vivendo. Stamattina esco presto per la mia solita passeggiata. Alla fine non mi va di tornare subito a casa, quindi entro in un bar con una saletta a fianco dove è possibile sedersi. Vedo che la commessa indossa la mascherina e all’entrata è scritto che è obbligatoria per tutti i clienti, quindi la metto anch’io, per rispetto della normativa e dei presenti. La commessa mi dice che non è più necessaria, ma se voglio sedermi devo compilare, prima di uscire, un foglio con nome, indirizzo, numero di telefono, ora di arrivo e ora di partenza. Serve per il tracciamento, così, se in quel lasso di tempo entrerà qualcuno che nei giorni seguenti si rivelerà positivo al tampone, sarò contattata dalle autorità. Magari mi verrà fatto il tampone, forse sarò messa in quarantena, con o senza sintomi.

 

Mentre sono lì seduta al mio tavolo, entrano tre poliziotti, controllano il foglio con i dati dei clienti, contano quante persone ci sono, chiedono quello del giorno precedente, lo prendono con loro. Poi ordinano, si siedono, bevono, mangiano, leggono il giornale, toccano di tutto, infine si alzano e se ne vanno, ovviamente senza lasciare il loro nominativo. È evidente che il virus sa distinguere se infettare un ignaro cliente o un poliziotto in divisa. La divisa fa paura anche al virus, che penserà bene di tenersi alla larga da alcuni soggetti ma non da altri.

 

Non solo, ma qualche ora più tardi scopro, semplicemente osservando intorno a me, che questa regola a quanto pare non vale per tutti i locali. Alcuni obbligano ad indossare la mascherina, in altri si può entrare senza. Alcuni ristoranti mettono il plexiglass tra i tavoli, altri niente, altri ancora raggruppano i tavoli per potere accogliere comitive di 10, 15 o più persone. Lo vedo ogni sera in un paio di ristoranti davanti a casa, gremiti di persone dal lunedì alla domenica, a pranzo e a cena, dove gli unici poveretti ad indossare mascherina e visiera di plastica sono i camerieri. Così come ogni sera, in particolare nel fine settimana, vedo gruppi di persone che si radunano, ballano e cantano nelle piazze e nei giardini della città, ma il mattino seguente scatta il tracciamento se si entra in una caffetteria e ci si siede ad un tavolino isolato per fare colazione.

 

Che senso hanno dei provvedimenti fatti così, che valgono per alcuni e non per altri, in certi momenti e luoghi ma non in altri?

 

Più passa il tempo più mi sento presa in giro dall’ipocrisia di un sistema che nutre la paura anziché educare le persone alla cura di sé, vende falsa sicurezza, facendo passare provvedimenti del tutto contraddittori dietro l’idea che si tratti di azioni messe in campo per il benessere collettivo, in attesa del farmaco miracoloso che ci libererà tutti e ci permetterà di tornare alla routine di sempre. Come se fossimo nudi in questo mondo, in balia degli eventi e dei nemici, privi di un efficiente sistema di difesa e rigenerazione di cui invece la natura ci ha dotati fin dalla nascita, un sistema che, certo, dev’essere intrattenuto e rispettato.

 

Nell’intento di perseguire un’effimera forma di protezione esterna anziché potenziare quella che già abbiamo, stiamo rinunciando ai nostri valori più preziosi, alle nostre libertà fondamentali, affidando la nostra salute a politici poco trasparenti (per dirla in maniera delicata) e ad una scienza deterministica, calcolatrice e priva di etica che riduce l’essere umano ad una macchina costituita da un insieme di pezzi da mettere e togliere a piacere, una scienza che pretende di avere il controllo su tutto ciò che accade, dentro e fuori di noi.

 

Avremmo potuto trarre una grande lezione dal mondo dei microrganismi, una lezione che parla di mutuo rispetto, interazione e collaborazione tra tutti gli esseri viventi, ma la stiamo sprecando. Avremmo potuto cogliere l’occasione per ripensare che cos’è veramente la salute e come si fa seriamente prevenzione, ma sembra più interessante mettere l’attenzione su come proteggersi da un male che sta fuori e deve essere debellato, senza mai accennare al fatto che esiste una responsabilità personale (e quindi un potere personale) in quello che ci accade.

 

Possiamo affidarci alla più alta tecnologia per fare la guerra ai microrganismi, che continuano ad essere considerati come terribili nemici anziché co-abitanti del nostro corpo e di questo pianeta, ma ogni qualvolta l’uomo andrà contro le leggi naturali dell’esistenza non farà altro che accelerare la corsa verso l’autodistruzione.

 

Voglio credere che siamo ancora in tempo per fermarci e invertire la rotta, ma se questo accadrà oppure no dipende esclusivamente da noi e ognuno di noi, nessuno escluso, può fare la differenza.

Ancora nessun commento

Scrivi un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.