Accogliere l'inspiegabile è in sé una via di guarigione

Accogliere l’inspiegabile è in sé una via di guarigione

Questa settimana avevo in mente di pubblicare un articolo di tutt’altro genere, che invece ho deciso di rimandare per condividere alcune riflessioni sulla malattia, la guarigione e la morte.

 

Perché proprio ora? Perché nelle ultime settimane sono stata confrontata molto da vicino con questi aspetti, che sono parte della vita, lo sappiamo, ma non vorremmo mai incontrare. Invece hanno incrociato il cammino di due persone a me molto care, ciascuna delle quali sta combattendo la propria battaglia contro una malattia che non accenna a retrocedere, almeno per ora.

 

Una di loro, che chiamerò C., da anni si occupa della sua salute in maniera estremamente scrupolosa, prestando attenzione a tutti quegli aspetti dello stile di vita – alimentazione, movimento, disintossicazione, risoluzione dei traumi emotivi – che anch’io ritengo molto importanti. Dall’oggi al domani si è trovata a fare i conti con una malattia rarissima, alla quale nemmeno i medici sanno attribuire un nome e per la quale, ad oggi, non sono in grado di proporre una cura. Inutile dire che sta provando di tutto, dalle terapie convenzionali a quelle alternative, nel tentativo di guarire o almeno mantenere una qualità di vita degna di un essere umano. Lo sta facendo con una dignità, un coraggio e una determinazione che lascerebbero chiunque senza parole.

 

Ieri sono stata a trovarla e credo di non essermi mai sentita tanto impotente. Mentre tornavo a casa sotto la pioggia battente ero invasa da mille pensieri, dubbi, incertezze e tante, tante domande. Una fra tutte, che tra l’altro più volte ho ascoltato, è la seguente: “A cosa serve la prevenzione, fare attenzione alla qualità della vita, darsi da fare per proteggere il corpo dagli attacchi di un modo di vivere malsano come quello della società in cui viviamo, sforzarsi di comprendere e rispettare le necessità e la fisiologia dell’essere umano, se poi, alla fine, ci si ammala comunque?”. Oggi questa domanda me la sono rivolta anch’io.

 

La risposta me l’hanno data loro, i miei due amici, attraverso il modo in cui stanno affrontando, ciascuno a suo modo, questo periodo così doloroso della loro vita. In particolare ho ripensato alle parole di C. : “Mi sento tanto stanca, ma non ho perso la speranza e finché avrò un briciolo di forza continuerò a cercare, studiare, bussare a tutte le porte che potrebbero portarmi una risposta. So che forse morirò prematuramente, mi sto preparando anche a questa eventualità e insieme a me stessa sto preparando i miei cari. Quando verrà meno quella forza, allora saprò che sarà giunto il momento di andarmene. Lascerò questo corpo terreno ma il viaggio continuerà altrove. So anche che se non avessi fatto tutto quello che ho fatto in questi anni non sarei più qua a quest’ora, i medici stessi me l’hanno confermato.”

 

In quelle parole e nel tono con cui le ha pronunciate non c’erano né rassegnazione né autocommiserazione. Emergeva invece una forza straordinaria, la forza di una giovane donna spaventata da un lato, certo, ma con il coraggio che viene da una fede profonda. C’era il senso della vita e della guarigione in quelle parole. Perché la guarigione non è solo da intendere come fine della malattia. Quando è così è un dono meraviglioso ed è facile da riconoscere, è la forma di guarigione alla quale tutti auspichiamo e più desideriamo. Tuttavia, la guarigione si può manifestare anche sotto altre forme.

 

Guarire è anche accettare quello che non possiamo cambiare perché ci sono in gioco variabili che non dipendono direttamente da noi, senza però cedere alla rassegnazione e quindi continuando a fare tutto quello che è in nostro potere per recuperare la salute.

 

Vincere sul male è anche arrivare all’ultimo dei nostri giorni su questa terra, voltarci indietro e poter dire: “Ce l’ho messa tutta per vivere in accordo con i valori in cui credo, incluso lo sforzo di curare e onorare il mio corpo, che è un’unione indissolubile con la mia anima.”

 

Guarigione è accettare la malattia e la morte come parte di questo processo meraviglioso ma anche inafferrabile che è la vita, un viaggio che per alcuni sembra essere abbastanza lineare e sereno mentre per altri si rivela estremamente tortuoso, senza che ne capiamo veramente la ragione. È inspiegabile da un punto di vista puramente razionale e umano poiché vi sono aspetti che appartengono ad un disegno superiore che è alla base di tutto il Creato.

 

La forma più alta di guarigione, infatti, è riuscire ad affidarsi al piano di Dio, che va ben oltre la nostra volontà e comprensione, sapendo che la vita terrena è un dono prezioso che ci è stato offerto ma non ci appartiene, in ogni momento ci può essere tolto. Si dissolve il corpo materiale ma sopravvive l’anima.

 

Quindi, per tornare alla domanda iniziale: “Vale la pena darsi da fare per prendersi cura del proprio corpo con tutti i mezzi e le conoscenze di cui si dispone, anche se questa, a volte, non è la via più semplice da seguire?”. Sì, ne vale certamente la pena, in qualunque situazione ci si trovi e qualsiasi battaglia si stia combattendo. Vale la pena mettere tutte le chances dalla propria parte, difendere la vita fino all’ultimo respiro, non solo perché la situazione si può ribaltare ad ogni istante, ma affinché, giunti al termine di questo cammino terreno, ci si possa guardare indietro con la serenità di chi sa di avere fatto del suo meglio per onorare il dono che ha ricevuto nascendo. Anche questa è una vittoria sulla malattia, forse è la più importante.

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