I pro e contro del consumo di carne
Consumare carne fa bene o fa male? La carne acidifica il corpo? Non fa ammalare? È un tema molto delicato sul quale non tutti i nutrizionisti la pensano allo stesso modo. Come spesso accade in questi casi è probabile che la verità stia un po’ nel mezzo.
Le considerazioni che seguono riguardano il piano strettamente fisiologico, non etico. Sono stata per un periodo vegetariana, poi tendenzialmente vegan crudista, ho tuttora un’alimentazione molto ricca di vegetali, quindi capisco bene le ragioni di chi fa queste scelte alimentari, le rispetto profondamente e seguo nel mio lavoro anche pazienti vegetariani o vegani, con rispetto. Credo che sia possibile vivere bene e in salute senza prodotti di origine animale ma non tutti sono pronti per una scelta così radicale, fisicamente e/o psicologicamente. È soprattutto a queste persone che oggi mi rivolgo, sperando di non ferire la sensibilità di alcuno.
Nell’immaginario collettivo, la carne, soprattutto quella rossa, è ormai considerata qualcosa di dannoso da concedersi una tantum o da eliminare a prescindere. Questa convinzione presuppone però che tutta la carne sia uguale. Il punto fondamentale da cui partire invece è un altro, ovvero di quale carne stiamo parlando. È la carne di animali che hanno vissuto liberi nei prati e sono stati nutriti ad erba e fieno o è quella di animali di allevamento intensivo che non hanno mai visto la luce del sole, sono stati nutriti con mangimi a base di cereali e soia, separati dai loro piccoli pochi giorni dopo la nascita e uccisi a pochi mesi o anni di vita? Sono stati riempiti di antibiotici e ormoni per accelerare la loro crescita e farli ingrassare rapidamente oppure è stato rispettato il loro naturale ciclo di vita?
Questo era quello che avveniva nelle fattorie del passato, a conduzione familiare, dove l’animale era sì sacrificato ad un certo momento, in genere quando si avvicinava alla vecchiaia, ma prima di allora aveva vissuto una vita quantomeno dignitosa, con il minimo di sofferenza possibile, non veniva separato dai suoi cuccioli alla nascita e veniva nutrito nel rispetto di ciò che la natura ha previsto per ogni specie. Di certo non si può dire la stessa cosa per gli animali da allevamento intensivo, sottoposti ad atroci sofferenze di cui si impregnano, tra l’altro, i prodotti che poi l’uomo consuma, oltre a tutte le tossine che l’animale accumula nei suoi tessuti.
Tanto si potrebbe dire sui “moderni” metodi di allevamento, a dir poco aberranti. Ora però vorrei concentrarmi soprattutto sul fatto che non è tanto la carne in sé ad essere negativa, ma il tipo di carne, l’eccesso, la lavorazione, lo snaturamento, il fatto che sia arricchita di conservanti e altri additivi, l’energia vitale (o di sofferenza) di cui è impregnata, oltre ad altri aspetti di non minore importanza, per esempio con quali alimenti viene associata, in che momento della giornata viene assunta, da chi e altro ancora.
Lo studio che qualche anno fa ha portato alla criminalizzazione della carne e a considerarla cancerogena era riferito soprattutto a carni di allevamento intensivo lavorate, come salumi, wurstel, carni in scatola, carni affumicate, prodotti quindi assai lontani e diversi rispetto ad un pezzo di carne fresca di un animale che ha mangiato erba e fieno all’aria aperta. Difficile oggi trovarne di animali così, direte voi. È vero, il problema è proprio questo, è che oggi non esistono più l’agricoltura né l’allevamento di sussistenza perché sono stati completamente soppiantati dagli allevamenti intensivi, spesso gestiti da multinazionali che tutto hanno a cuore tranne la salute nostra, degli animali e del pianeta.
Al supermercato poi, troviamo solo alcune parti dell’animale, poiché le altre, come le frattaglie, ricche di minerali e grassi vengono in genere escluse. Eppure sono proprio le parti che mangiava per prime l’uomo delle origini, istintivamente, e la ricchezza di minerali di quei tagli serviva a compensare gli scarti acidi generati dal metabolismo proteico. Tra i minerali che contiene, il ferro, in modo particolare, è presente nella carne in una forma maggiormente biodisponibile (ferro eme, legato all’emoglobina o alla mioglobina) rispetto a quello non eme presente nei vegetali, ragion per cui è in genere raccomandata a chi soffre di anemia. La carne rossa deve il suo colore alla maggiore ricchezza di emoglobina rispetto a quella bianca, avendo un maggiore contenuto di connettivo, un tessuto molto vascolarizzato. Questa è anche la ragione per cui la carne bianca è in genere più digeribile, essendo anche meno ricca di grassi.
I grassi della carne sono prevalentemente saturi, è vero, ma oggi sappiamo che non dobbiamo avere paura dei grassi, nemmeno di quelli saturi che, se assunti nelle giuste proporzioni, sono perfettamente adeguati all’uomo, tanto che se non li introduciamo con la dieta il corpo li produce da sé. I peggiori non sono tanto i grassi saturi (anche se si dovrebbero fare opportune distinzioni) quanto quelli idrogenati e trans esterificati che derivano dagli oli vegetali sottoposti ad alte temperature, ovvero tutti quelli che abbondano nei prodotti da forno che l’industria utilizza di preferenza perché sono più economici di un buon olio di oliva o di un buon burro da pascolo, molto più resistenti al calore e alla luce e quindi più idonei a tali preparazioni.
I grassi della carne non sono un problema in quanto tali, ma lo diventano se parliamo di animali vissuti e alimentati in condizioni che non corrispondono alla loro fisiologia. In questo caso si riempiono di tossine che si accumulano proprio nel tessuto adiposo, largamente in eccesso perché sovra-stimolato da ormoni e antibiotici che gli vengono somministrati e ritroveremo anche noi nel piatto, insieme agli altri residui tossici.
Dal punto di vista della qualità proteica, la carne contiene tutti gli aminoacidi essenziali, cosa che può rivelarsi particolarmente utile per alcune persone, per esempio chi ha scarso appetito, è convalescente e non riesce a mangiare grandi quantitativi di cibo, per i bambini e gli adolescenti in rapida crescita, per gli anziani che spesso vanno incontro a perdita del tessuto muscolare.
Detto questo, è vero che in presenza di determinate patologie è opportuno astenersi dal suo consumo, com’è il caso di persone che hanno o hanno avuto un tumore, alle quali viene giustamente consigliato di eliminare o ridurre al minimo la carne nella dieta, soprattutto quella rossa, poiché stimola la sintesi di fattori di crescita che sono importanti nella donna in gravidanza, in un bambino in crescita, in uno sportivo, in un anemico, ma non in chi è affetto da un tumore. Inoltre, il ferro eme della carne è fortemente ossidante e può favorire la formazione di sostanze tossiche nell’intestino, soprattutto se la carne non è associata nel pasto ad una ricca porzione di vegetali freschi.
Questo non vuole dire che la carne faccia venire il cancro e nemmeno che mangiare un giusto quantitativo di carne conduca necessariamente all’acidificazione dei tessuti. Significa che è necessario limitarne il consumo e soprattutto personalizzarlo. Anche in una persona sana è l’eccesso che fa male, unitamente alla cattiva qualità, alla cottura sbagliata, all’errata combinazione con altri alimenti.
Un eccesso di carne è in effetti acidificante perché produce sostanze di scarto che il corpo deve smaltire. A differenza di grassi e carboidrati, le proteine non si accumulano nei tessuti e se in eccesso vengono demolite ed utilizzate per produrre energia. Di norma però esse hanno un ruolo strutturale, non energetico. Il loro utilizzo a questo scopo produce molecole di scarto che aumentano il carico acidogeno da smaltire, a potenziale danno di reni e tessuti mineralizzati dai quali il corpo sottrae minerali per tamponare l’eccesso di acidità. Tra i due mali, ovvero acidificazione e perdita di minerali, l’organismo sceglie il minore sacrificando i tessuti mineralizzati.
A questo inconveniente si può però ovviare associando sempre la carne con un’abbondante porzione di verdure, soprattutto verdure a foglia, ricchissime di minerali. Oltre a tamponare il carico acidogeno, le verdure, con la loro fibra, aumentano la velocità di transito intestinale, riducendo così il lasso di tempo in cui i prodotti che derivano dal metabolismo della carne rimangono a contatto con le pareti dell’intestino. Un pasto così non ha nulla di pericoloso o nocivo, anzi, è meno acidificante di un apparentemente innocuo piatto di pasta di frumento raffinato condita con pomodoro e Parmigiano.
È molto importante scegliere una cottura adatta, evitando quelle più aggressive, per esempio la cottura alla brace o alla piastra, che inducono la formazione di pericolose sostanze tossiche come benzopirene e altri idrocarburi policiclici aromatici.
Fondamentale è anche il momento della giornata in cui si assume la carne. Alla sera la capacità digestiva è ridotta rispetto alla prima parte della giornata e per persone che producono poca acidità a livello stomacale mangiare carne a cena può essere controindicato poiché significa, nel migliore dei casi, rigirarsi nel letto tutta la notte, compromettendo il sonno e tutti i fondamentali processi di assimilazione, depurazione e riparazione che avvengono mentre dormiamo.
Il tipo di costituzione è un altro aspetto importante e trascurato, molto caro a tutte le medicine antiche, dall’Ayurveda alla Medicina Tradizionale Cinese alla Naturopatia. Le costituzioni alle quali si riferiscono sono indicate con nomi diversi ma fondamentalmente dicono cose simili. Ci sono individui più capaci di tollerare una discreta quantità di carboidrati e altri più predisposti a metabolizzare gli alimenti proteici. Va da sé che la loro alimentazione non potrà essere la stessa in termini di proporzioni dei rispettivi macronutrienti.
In conclusione, tutto dev’essere contestualizzato e ricondotto alla persona specifica, come per qualsiasi altro alimento. Ciò che chiunque può fare è evitare l’eccesso di carne e sceglierla con consapevolezza, prestando grande attenzione alla sua origine, a partire dalle condizioni di vita dell’animale che ce l’ha offerta sacrificando la sua vita per noi.
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